Ħinduiżmu: Differenza bejn il-verżjonijiet

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Diffiċli li wieħed jagħti definizzjoni unitarja tal-Ħinduiżmu, billi mhuwiex reliġjon waħda fis-sens dejjaq, imma jista' jitqis bħala sensilea ta' kurrenti reliġjużi, devozzjonali u/jew metafiżiċi u/jew teoloġiko-spekulattivi, modi ta' mġiba, drawwiet ta' kuljum spiss eterogenji, li waqt li għandhom nukleu komuni ta' valuri u twemminijiet reliġjużi, huma differenti minn xulxin skont il-mod kif jinterpretaw it-tradizzjoni u l-letteratura reliġjuża, u skont liema aspett jikkonċentraw fuqu.<ref>Cfr., Michel Delahoutre f' ''Dictionnaire des Religions'' (ed. Jacques Vidal). Pariġi, Presses universitaires de France, 1984</ref>.
 
== Etimoloġija ==
[[FileStampa:Raja Ram Mohan Roy.jpg|200px|right|thumb|Ram Mohan Roy (1772-1833), riformatur Ħindu, li x'aktarx kien l-ewwel wieħed li uża fl-1823 it-terminu ''Hinduism''<ref>X'aktarx l-ewwel awtur li uża t-terminu ''Hinduism'' kien Ram Mohan Roy (1772-1833) fl-1823. Cfr. Michel Delahoutre fid-''Dictionnaire des Religions'' (ed. Jacques Vidal). Pariġi, Presses universitaires de France, 1984.</ref>, li mbagħad ixxerred mill-Ingliżi u ġie adattat f'lingwi oħra tal-Punent.]]
[[FileStampa:Pashupatinath Entrance Bull.JPG|200px|thumb|Id-daħla tat-tempju Paxupatināth (Mulej tal-imrieħel) iddedikat lil Xiva f'Kathmandu. Fit-tempju jistgħu jidħlu biss l-Indjani li jappartienu għal ''varṇa'' ikun x'ikun it-twemmin tagħhom waqt li l-viżitaturi l-oħra huma strettament projbiti anke jekk jipprofessaw bil-ħerqa fid Ħinduwija.]]
Il-terminu Malti "Ħinduiżmu", ġej mit-terminu Ingliż ''Hinduism'' imxerred mill-Ingliżi fl-epoka moderna<ref>X'aktarx l-ewwel awtur li uża t-terminu ''Hinduism'' kien Ram Mohan Roy (1772-1833) fl-1823. Cfr. Michel Delahoutre fid-''Dictionnaire des Religions'' (ed. Jacques Vidal). Pariġi, Presses universitaires de France, 1984.</ref>, magħmul biż-żieda tas-suffiss ''ism'' mal-għerq ''hindu''. Dan l-aħħar terminu ''ħindu'' kienu jużawh it-Torok Misilmin mis-seklu 13 għal dawk li ma kinux tat-twemmin tagħhom<ref>Cfr. Stefano Piano. ''Dizionario delle religioni'' (ed. Giovanni Filoramo. Torino, Einaudi, 1993, paġni 373-4. </ref> waqt li t-terminu Għarbi ''al-Ħind'', jidher fit-testi Għarab biex ifisser il-poplu sħiħ tal-Indja<ref>Cfr. Romila Thapar. ''Interpreting Early India''. Delhi, Oxford University Press, 1993, p. 77</ref>.
 
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Il-"Ħinduiżmu" tradizzjonalment jissejjaħ ''Arjadharma'', ir-Reliġjon tal-''Arjani'' ''<ref>Cfr. ''Dizionario sanscrito-italiano'' Pisa, ETS, 2009.</ref>, u ''Vajdikadharma'', ir-reliġjin tal-''Veda''<ref>Cfr. [[Kaus K. Klostermaier]]. ''Induismo. Una introduzione''. Fazi, 2004, pag. 9.</ref>.
 
== Definizzjoni tal-Ħinduiżmu ==
 
It-terminu "Ħinduiżmu" inħoloq riċentement u tferrex mill-orjentalisti Punentin u mill-istudjużi Indjani mis-seklu 19 'l hawn. Mhux biss hekk, imma dan il-proċess affettwa n-natura tiegħu infisha:
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La [[religione vedica]] corrisponde a quella raccolta di testi, il ''[[Veda]]'', tramandata oralmente per secoli da scuole brahmaniche (dette ''sākhā'') prima di essere messa per iscritto in epoca moderna<ref>[[Mircea Eliade]] in ''Storia delle credenze e delle idee religiose'' vol. 1, Milano, Rizzoli, 2006, pag. 211 nota come sia un tratto caratteristico della tradizione delle religioni indoeuropee quello di avvalersi della trasmissione orale e "al momento dell'incontro con le civiltà del Vicino Oriente, la proibizione di valersi della scrittura.".</ref><ref>[[Gianluca Magi]] in ''Hindūismo'', "Enciclopedia filosofica" vol. 6. Milano, Bompiani, 2006, pag. 5300 trattando della ''[[Śruti]]'' ricorda: {{q|la cosiddetta ''[[śruti]]'', la sapienza rivelata, "ascoltata" direttamente dall'Assoluto dai mistici veggenti (''[[ṛṣi]]''), intermediari umani che si sono limitati a riceverla e trasmetterla oralmente, poiché la trasmissione è considerata valida solo se è orale (mentre i testi scritti sono considerati testi morti che hanno perduto ogni potere magico).}}</ref><ref>{{q|I testi vedici furono composti e trasmessi oralmente da maestro a discepolo senza l'uso della scrittura, secondo una linea ininterrotta di trasmissione formalizzata. Ciò assicurò una trasmissione testuale impeccabile, superiore ai testi classici appartenenti ad altre culture; questo metodo può essere paragonabile ad una registrazione su nastro effettuata in epoche comprese tra il 1500 ed il 500 a.C. circa. E' stato così possibile preservare fino al presente non solo le parole ma anche l'accento tonale da lungo tempo perduto (come nel caso dell'antico greco o giapponese). Da una parte i Veda sono stati trascritti soltanto durante l'inizio del secondo millennio d.C., se alcune sezioni come una collezione delle Upaniṣad, furono forse trascritte soltanto nella metà del primo millennio, alcuni tentativi precedenti senza successo (vi erano in certe Smṛti delle regole che vietavano di trascrivere i Veda) furono fatti attorno alla fine del primo millennio a.C.
Comunque, quasi tutte le edizioni stampate si basano su manoscritti tardi, difficilmente più antichi di 500 anni, piuttosto che sulla superiore tradizione orale ancora esistente. La recitazione corretta di molti testi continua in alcune aree tradizionali come il Kerala, il Tamil-Nadu del sud, nella fascia costiera dell'Andhra, Orissa, Kathiawar, a Poona o a Benares. Nei pochi decenni passati vi è stato il tentativo da parte di studiosi locali e stranieri di conservare, o almeno di registrare, la tradizione orale. Ciononostante non esiste ancora, fino ad oggi, alcuna completa registrazione audio o video di tutte le recensioni vediche (śākhā) e alcuni testi sono andati perduti persino nel corso dei pochi decenni passati.(Traduzione dall'originale in lingua inglese).|[[Michael Witzel]] ''Vedas and Upaniṣads'' in ''The Blackwell Companion to Hinduism'' (a cura di [[Gavin Flood]]). Oxford, Blackwell Publishing, 2003}}</ref>. La datazione dei ''Veda'' è un argomento controverso e dibattuto, le edizioni 1998 e 2005 della ''Encyclopedia of Religion'', opera varata sul progetto dello storico delle religioni rumeno [[Mircea Eliade]] e che coinvolge centinaia di accademici di tutto il mondo, riporta, nella voce curata dallo studioso [[Ramchandra Narayan Dandekar]], un periodo compreso tra il [[2000 a.C.]] e il [[Anni 1100 a.C.|1100 a.C.]]<ref>Va tenuto presente che le datazioni anteriori al X secolo a.C. sono del tutto ipotetiche. Qui vengono proposte le ipotesi dello studioso [[Ramchandra Narayan Dandekar]] riportate nella ''Encyclopedia of Religion'' edita dalla MacMillan di New York nel 2005 (Vol. XIV, pag. 9550). Tale fonte, la ''Encyclopedia of Religion'', ha il pregio di essere uno strumento condiviso, curato e rivisto da numerosi studiosi di fama internazionale. Tuttavia altri autorevoli studiosi offrono datazioni più recenti. Così [[Saverio Sani]] (''Ṛgveda'', Venezia, Marsilio, 2000, pag. 19) data tra il XV e il V secolo a.C. la composizione del ''[[Ṛgveda]]''. [[Mario Piantelli]] (''Hinduismo'' a cura di [[Giovanni Filoramo]], Bari, Laterza, 2007, pag. 5) data la composizione dei Veda con l'arrivo degli indoari in India, datando questo arrivo nel XVI secolo a.C. D'altronde sempre Mario Piantelli in ''Le preghiere del mondo'', Torino, San Paolo, 1998, pag. 137) nota che «Le date generalmente reperibili nei manuali (dal 1300 al 700 a.C.) sono solo indicative e non hanno basi al di fuori delle congetture delle passate generazioni di indologi; è possibile che si debba tener conto d'uno scarto di mezzo millennio o più per le parti linguisticamente più antiche, anche alla luce del lessico, in cui compaiono piante e animali ancora non tipicamente indiani.». [[Michelguglielmo Torri]] (''Storia dell'India'' Bari, Laterza, 2000, pag. 32) entra nello specifico quando riportando la nuova tesi promossa dopo gli anni '80 sull'origine autoctona degli Arii, ricorda: «I due punti di forza di questa teoria fanno riferimento al fatto che, fermo restando l'indicazione del 1000 a.C. come data di completamento della composizione degli inni raccolti nel ''Rig Veda'', non è affatto certa quale sia la data d'inizio. Questa potrebbe essere assai più antica del 1500 a.C. e risalire al 3000, al 4000 o addirittura al 7500 a.C. Il primo elemento a supporto di questa è tratto dall'astroarcheologia, cioè dal fatto che all'interno dei ''Veda'' vi sia una serie di riferimenti astronomici che, una volta decodificati, fanno pensare che i compositori degli inni vedici abbiano vissuto sotto un cielo caratterizzato da configurazioni stellari e da parabole solari caratteristiche di periodi ben più antichi del 1500 a.C.». Tra gli indologi che spostano ben oltre la data del 1500 a.C. Torri cita: [[David Frawley]], [[K.D. Sethna]] e [[Shrikant Talageri]]. Mentre [[Stephanie W. Jamison]] e [[Michael Witzel]] (''Vedic Hinduism'', pag. 5) se da una parte limitano il periodo vedico al 1500-500 a.C. dall'altra notano che: « The RigVeda, which no longer knows of the Indus cities but only mentions ruins (armaka, [mahå]vailasthåna), thus could have been composed during the long period between 1990 and 1100 BCE.». Per [[J. L. Brockington]] (in ''Concise encyclopedia of language and religion'' Oxford, Elsevier, 2001, pag. 126) invece i più antichi inni dei Veda, appartenenti al Rig Veda, vanno fatti risalire al 1200 a.C.</ref>.
[[FileStampa:Rigveda MS2097.jpg|thumb|250px| ''[[Ṛgveda]]''. Manoscritto in [[devanāgarī]], XIX secolo. Dopo una benedizione (''"śrīgaṇéśāyanamaḥ ;; Aum(3) ;;"''), la prima riga apre con il primo verso del primo inno del ''Ṛgveda'' (1.1.1): ''Agniṃ ; iḷe ; puraḥ-hitaṃ ; yajñasya ; devaṃ ; ṛtvijaṃ'' («Ad Agni rivolgo la mia preghiera, al sacerdote domestico, al divino officiante del sacrificio»). L'accento vedico è segnalato da sottolineature in inchiostro rosso.]]
 
Il ''Veda'' più antico è senza dubbio il ''[[Ṛgveda]]'', cui seguono gli altri tre: ''[[Sāmaveda]]'', ''[[Yajurveda]]'', e ''[[Atharvaveda]]''. Nel complesso questa letteratura religiosa descrive gli indoari come [[nomadi]] guerrieri in conflitto con le popolazioni locali, eredi della [[Civiltà della valle dell'Indo]]. I testi [[Veda|vedici]] descrivono le popolazioni autoctone come di pelle scura oggi identificate come [[Dràvida|dravidiche]]. Gli [[indoari]] indicavano sé stessi come ''ārya'' (nobili) riservando il termine ''dāsa'' (anche ''dasyu'', successivamente col significato di "schiavo") alle popolazioni autoctone con cui erano venuti a contatto. Secondo gli [[indoari]], questi ''dāsa'' non veneravano [[divinità]] né possedevano riti religiosi quanto piuttosto veneravano un "fallo" ([[pene]] eretto, [[sanscrito]] ''[[liṅgaṃ]]'', denominato dio-pene o dio-coda ''Siśnadeva''). Secondo [[Alf Hiltebeitel]]<ref>[[Alf Hiltebeitel]]. ''Op. cit.'', pag. 3990.</ref> la scoperta di oggetti di forma fallica nella [[Valle dell'Indo]] fa supporre come corretta la descrizione vedica di questi culti, peraltro anticipatori del culto del ''[[Liṅgaṃ]]'' nello [[Śivaismo]]<ref>Cfr. [[Alf Hiltebeitel]]. ''Op. cit.'' e [[Mario Piantelli]] ''Op. cit.''</ref>.
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Gli dèi vedici hanno raggiunto l'immortalità, non dormono, non muovono le palpebre degli occhi, non possiedono un'ombra, hanno corpi fisici sottili (''tanū'') con cui si cibano e si accoppiano, e questi corpi sono molteplici, polimorfi e possono apparire sotto forme umane o animali<ref>[[Mario Piantelli]]. ''Op. cit.'', pag. 43</ref>. [[Mario Piantelli]] nota:
[[FileStampa:ശ്യേന-ചിതി‌-നിർമ്മാണം.jpg|450px|right|thumb|L'antico [[yajna|rito sacrificale]] [[vedismo|vedico]] dell'<nowiki></nowiki>''[[agnicayana]]'' (lett. "accumulo di [[Agni]]") ancora praticato dai [[brahmano|brahmani]] ultraortodossi, detti ''[[Nambūṭiri]]'', del [[Kerala]]. Questo rito richiede la costruzione di un altare del fuoco (''[[vedi]]'') a forma di uccello composto da più di duemila mattoni (''iṣṭaka''). Il rito ha la durata di dodici giorni, e durante la costruzione occorre, tra l'altro, la recitazione di specifici ''[[mantra]]'' estratti dal ''[[Veda]]''.]]
{{q|Gli è che, a differenza di quanto avviene per i membri di altri ''pantheon'' indoeuropei, le figure divine del mondo vedico presentano sovente una certa imprecisione di contorni e sono facilmente soggette ad essere identificate le une con le altre. Ciò è sottolineato dal fatto che, nella prospettiva vedica, nominare un essere divino, individuandone la sfera di attività equivale a crearlo/manifestarlo: il [[Brahman]], potenza di accrescimento inerente all'invocazione, non soltanto incita gli dèi, ma li genera e li mette in moto|[[Mario Piantelli]]. ''Op. cit.'', pag. 43}}
 
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Oltre ai già menzionati [[Agni]] e Soma, particolare attenzione prestano i ''Veda'' al gruppo dei sei ''[[Āditya]]'':
* [[Varuṇa]], è sicuramente il più importante Āditya e tra le divinità fondamentali degli inni vedici; è strettamente collegato con la nozione di ''[[Ṛta]]'';
* [[Mitra (divinità)|Mitra]], è un dio minore negli inni vedici e si invoca per sigillare alleanze o contratti;
* [[Aryaman]], è il ''deva'' legato al matrimonio e all'ospitalità;
* [[Bhaga]], è il dio legato alla funzione del sovrano quando distribuisce la preda di guerra o i prodotti collettivi tra i membri adulti delle tribu [[Arii|arie]], è legato alla eredità dei beni;
* [[Dakṣa]], negli inni vedici è il garante dell'efficacia e del successo del sacrificio;
* [[Aṃśa]], è collegato e invocato per l'acquisizione dei beni mediante la buona sorte.
 
{{Testi sacri Induismo}}
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==== L'interiorizzazione del sacrificio negli ''[[Āraṇyaka]]'' e le riflessioni 'teologiche' delle ''[[Upaniṣad]]'' ====
[[FileStampa:Map of Vedic India.png|400px|thumb|L'India [[Vedismo|vedica]] al tempo della formazione delle prime ''[[Upaniṣad]]'' (IX secolo a.C.). Corrisponde al territorio abitato dagli ''Ārya'' ([[indoari]], abitanti l'<nowiki></nowiki>''Āryavārta''), la Terra di mezzo (''Madhyadeśa'') dove vive l'[[Antilope cervicapra|antilope nera]] (''kṛṣṇasāra mṛga''). {{q|La regione compresa tra l'[[Himālaya]] [a nord] e la catena dei [[Vindhya]] [a sud], a est del [[Vinaśana]] e a ovest di [[Prayāga]] è chiamata Madhyadeśa [ossia la terra di mezzo]. I savi chiamano Āryavārta la regione compresa tra queste due catene montuose che si estende dal mare orientale al mare occidentale. La dove l'[[Antilope cervicapra|antilope nera]] è nativa e si aggira, quella è conosciuta come la terra atta al sacrificio: al di là di quella vi è la terra degli strenieri (''mleccha''). I nati due volte devono cercare di stabilirsi in queste regioni, ma uno '' śūdra'' che abbia difficoltà a guadagnarsi da vivere può risiedere in qualunque luogo| ''Manusmṛti'' II, 21-4. Traduzione di [[Federico Squarcini]] e [[Daniele Cuneo]] in ''Il trattato di Manu sulla norma''. Torino, Einuadi, 2010, pagg. 18-9|himavadvindhyayor madhyaṃ yat prāg vinaśanād api pratyag eva prayāgāc ca madhyadeśaḥ prakīrtitaḥ ā samudrāt tu vai pūrvād ā samudrāc ca paścimāt tayor evāntaraṃ giryor āryāvartaṃ vidur budhāḥ kṛṣṇasāras tu carati mṛgo yatra svabhāvataḥ sa jñeyo yajñiyo deśo mlecchadeśas tv ataḥ paraḥ etāṇ dvijātayo deśān saṃśrayeran prayatnataḥ śūdras tu yasmin kasmin vā nivased vṛttikarśitaḥ|lingua=sa}}]]
Accanto, ma comunque successivi ai ''[[Brāhmaṇa]]'' e sempre intorno all'anno 1000 a.C., compaiono gli ''[[Āraṇyaka]]'', testi che, secondo [[Jan C. Heesterman]]<ref>''Enciclopedia delle Religioni'' vol. 9 Milano, Jaca Book, 2004, pag. 459.</ref>, rappresenterebbero la reazione di alcuni ''[[kṣatrya]]'' alla loro esclusione dai rituali vedici indicati nei ''[[Brāhmaṇa]]'' e, conseguentemente, il loro tentativo di acquisire uno ''status'' religioso segreto. Negli ''Āraṇyaka'' emerge dunque uno spostamento del rito sacrificale dal villaggio ai luoghi selvaggi e una minore attenzione alla descrizione del rito con la valorizzazione della sua interiorizzazione dove, ad esempio, esso viene equiparato all'alternarsi tra respiro e parola, giungendo così a creare delle corrispondenze tra il rito sacrificale e la vita di colui che vi medita<ref name=autogenerato5>[[Alf Hiltebeitel]]. ''Op. cit.''</ref>.
 
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==== Le tarde ''[[Upaniṣad]]'', la letteratura epica e la ''[[Bhagavadgītā]]'' ====
[[FileStampa:The Death of Bhishma.jpg|thumb|right|250px|[[Bhīṣma]] agonizzante sul letto di frecce (illustrazione dell'episodio finale del VI ''parvan'' del ''[[Mahābhārata]]''; XVIII secolo, conservato presso [[Smithsonian Institution|The Smithsonian Museum of Asian Art]] di [[Washington]]). [[Bhīṣma]], figlio del re Śāntanu e della dea Gaṅgā, il quale aveva rinunciato ai propri diritti regali facendo voto di castità e dedicandosi all'ascesi, viene ucciso in combattimento dalle frecce di Śikhaṇdin e di Arjuna. Tale è il numero di frecce che rendono agonizzante Bhīṣma che il suo letto di morte sarà costituito da esse. Durante l'agonia, che permarrà per cinquantotto giorni, Bhīṣma elargirà importanti dottrine inerenti al ''[[Dharma]]'' (dottrine che sono raccolte nei ''parvan'' XII e XIII del ''[[Mahābhārata]]''), venendo onorato da dèi e da eroi, anche nemici, tra cui lo stesso [[Arjuna]] che donerà all'asceta guerriero tre frecce dove posare il capo.]]
[[FileStampa:Krishna.jpg|thumb|right|250px|[[Kṛṣṇa]], ottavo ''avatāra'' di [[Viṣṇu]], è il personaggio centrale della ''[[Bhagavadgītā]]'' dove si presenta come la divinità suprema che impartisce insegnamenti religiosi. Qui è raffigurato come Kṛṣṇa Veṇugopāla, ovvero Kṛṣṇa suonatore di flauto (''veṇu'') e pastore delle mucche (''gopāla'').<ref>{{Cita|Eckard Schleberger|pp. 80-83|Eckard Schleberger, 1999}}</ref> Ha una corona regale (''kirīṭa mukuṭa'') con penne di pavone (''mayūrapattra'') che simboleggiano l'immortalità, richiamata anche dal pavone in basso a destra della figura. Il pavone simboleggia l'immortalità in quanto il suo progenitore nacque da una piuma di [[Garuda]]. La ghirlanda di Kṛṣṇa è una ghirlanda di fiori (''tulasī'') ed è composta da cinque filari di fiori che rappresentano i cinque sensi dell'uomo. La sua postura è la ''ardhasamasthānaka pādasvastika'', la postura a gambe incrociate con il piede destro che tocca con le punta delle dita il terreno mostrando leggerezza e calma e appoggiandosi alla mucca posta dietro di lui. Dietro Kṛṣṇa, l'immagine di una mucca, [[Surabhī]], che vive nel paradiso di Kṛṣṇa, [[Goloka]]. La mucca è dispensatrice di beni e per questo è sacra e non può essere uccisa. Sono le mucche che dopo la morte degli uomini consentono loro di attraversare un fiume sotterraneo (il Vaitaraṇī) pieno di coccodrilli per giungere all'altra riva dove disporranno di un nuovo corpo per la successiva reincarnazione. È vestito di giallo (''pitāṁbara'') colore della divinità solare che illumina il cosmo; la sua pelle è invece blu notte, o nera, sia per indicarne la pervasività nello spazio, sia per segnalarlo come manifestazione dell'Essere supremo nell'attuale era del ''kali'' (''[[kaliyuga]]''), essendo le altre tre precedenti ere contrassegnate da manifestazioni della divinità rispettivamente bianca, rossa e gialla (nell'insieme questi colori delle manifestazioni delle divinità delle differenti ere corrispondono ai quattro colori dei ''[[varṇa]]'').]]
[[FileStampa:Meister der Bhâgavata-Purâna-Handschrift 001.jpg|250px|thumb|Immagine tratta da un manoscritto del ''[[Bhāgavata Purāṇa]]'' risalente al XVI secolo e conservato presso la [[Madhuri D. Desai Gallery]] di [[Mumbai]]. L'immagine presenta [[Kṛṣṇa]] assistito dalle ''[[gopī]]'', le mandriane affascinate dal divino infante. Attribuito a [[Vopadeva]] (XIII secolo), ma forse antecedente di qualche secolo, il ''[[Bhāgavata Purāṇa]]'' è un ''Purāṇa'' ''[[vaiṣṇava]]'' composto in 12 ''skandha'' che narrano la vita del giovane [[Kṛṣṇa]] e i suoi amori con le ''[[gopī]]'', supremo ideale dell'amore umano-divino.{{q|Chi ha gustato il miele dei piedi di loto di [[Kṛṣṇa]] non prende di nuovo piacere in oggetti forieri di inganno, già ripudiati, costituiti dalle qualità dell'illusione cosmica|''[[Bhāgavatapurāṇa]]'' VI,3,33. Traduzione di [[Alberto Pelissero]], in ''Hinduismo antico'' (a cura di [[Francesco Sferra]]). Milano, Mondadori, 2010, pag. 1246}}]]
[[FileStampa:Raja Ravi Varma - Sankaracharya.jpg|250px|thumb|Dipinto raffigurante il famoso teologo e filosofo dell'[[Advaitavedānta]], [[Śaṅkara]] (788-820), opera di [[Raja Ravi Varma]] (1848–1906). A Śaṅkara la critica moderna attribuisce con certezza i commentari (''bhaṣya'') al ''[[Brahmasūtra]]'', alla ''[[Bṛhadāraṇyaka Upaniṣad]]'' e alla ''[[Taittirīya Upaniṣad]]'' nonché gli ''[[Upadaśasāhasrī]]'' ("Mille insegnamenti"). Veementi saranno gli attacchi polemici portati da Śaṅkara alle scuole buddhiste in quanto negatrici dell'autorità religiosa del ''Veda''.]]
 
Alcune delle ultime '' Upaniṣad '' vediche (500-400 a.C.) si avviano a riportare le prime riflessioni ''[[yoga|yogiche]]''<ref>Cfr. ad esempio la ''[[Kaṭha Upaniṣad]]'' (collegata al ''Kṛṣṇa Yajurveda''):
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of maps and paths set forth by the heterodoxies (not only Buddhism and Jainism, but the Ājīvka).|. Alf Hiltebeitel. ''Hinduism'' in ''Encyclopedia of Religion'' vol. 6. NY, Macmillan, 2005 (1987), pagg. 3997}}</ref>.
 
* [[Mīmaṃsā]]<ref>"Profondo esame", detta anche ''Pūrvamīmaṃsā'', "Primo esame approfondito".</ref> e [[Vedānta]]<ref>Detta anche ''Uttaramīmaṃsā'', "Ulteriore esame approfondito".</ref>: di queste due ''darśana'' ''smārta'', la prima è collegata al ''Veda'' e ai ''Brāhmaṇa'', mentre la seconda si focalizza sulle '' Upaniṣad'' (da qui il nome ''Vedānta'' fine del ''Veda'' proprio anche delle ''Upaniṣad''). Ambedue queste scuole non valorizzano la ''bhakti'': la [[Mīmaṃsā]] lo rigetta mentre il [[Vedānta]] lo subordina ai propri insegnamenti. La [[Mīmaṃsā]] si fonda, tra gli altri, sul ''[[Mīmaṃsāsūtra]]''<ref>Composto di 2621 aforismi che affrontano 890 argomenti inerenti al ''Veda'', ai suoi rituali e ai comportamenti consoni.</ref> di [[Jaimini]] (IV-II secolo a.C.) e consiste in una esegesi del rituale vedico e brahmanico il solo che consenta il raggiungimento dei Cieli divini (''Svarga''). La Mīmaṃsā non contempla infatti la ''[[mukti]]'' (la liberazione) e, pur considerando i ''deva'' realmente esistenti, ritiene che la ''bhakti'' (devozione) nei loro confronti non sia per niente necessaria per conseguire i Cieli divini. Il [[Vedānta]] si fonda invece sul ''[[Vedāntasūtra]]'' (anche ''Brahmasutra'') opera di [[Bādarāyaņa]] (IV-III secolo a.C.), un testo in stile aforistico che approfondisce e commenta l'opera delle '' Upaniṣad''. Da quest'ultima ''darśana'' emergerà l'[[Advaitavedānta]], il diffuso e importante sistema teologico codificato nell'VIII secolo da [[Śaṅkara]].
* [[Nyāya]] e [[Vaiśeṣika]]: questi due sistemi, nati rispettivamente dal ''[[Nyāyasūtra]]'' di [[Gautama]] (III sec. a.C.-II sec. d.C.) e dal ''[[Vaiśeṣikasūtra]]'' di [[Kaṇāda]](III sec. a.C.-II sec. d.C.), furono presto correlati tra loro e, nel V secolo d.C., furono unificati. [[Nyāya]] (logica) metteva in risalto l'utilizzo della [[logica]] come strumento di emancipazione spirituale, mentre il [[Vaiśeṣika]] (caratteristiche differenti) postulava una realtà fatta di [[atomo|atomi]] e la distinzione tra "spirito" e "materia". Questi due indirizzi furono utilizzati filosoficamente per dimostrare l'esistenza di un Essere supremo alla base sia della manifestazione e della distruzione dell'Universo, sia delle attività di liberazione dell'anima dell'uomo.
* [[Yoga]] e [[Sāṃkhya]]: queste due ''[[darśana]]'' sono probabilmente più recenti delle altre e sono basate la prima sullo ''[[Yogasūtra]]'' di [[Patañjali (filosofo)|Patañjali]] (tra il III sec. a.C. e il IV-VI secolo d.C.<ref>L'oscillazione dipende se lo si voglia o meno identificare con l'antico grammatico, cfr. [[Alf Hiltebeitel]]. ''Op. cit.''.</ref>) mentre la seconda sullo ''[[Sāṃkhyakārikā]]'' di [[Īśvarakṛṣṇa]] (IV secolo d.C.). Anche se il [[Sāṃkhya]] con il suo "ateismo" e la sua dottrina dell'isolamento (''kaivalya'') dello spirito (''puruṣa'', inteso come Sé o "coscienza pura", privo però di un Puruṣa supremo, divino o trascendente) dalla materia<ref>Da tener vivamente presente che la nozione di "materia" è ben più ampia di quella così considerata nella cultura occidentale includendo qui anche, e ad esempio, la "mente".</ref>(''prakṛti'', di natura impersonale) che lo tiene "prigioniero", sembra connesso con il [[Giainismo|Jainismo]], le sue dottrine e la sua terminologia hanno largamente influenzato l'intero Induismo<ref name=autogenerato4 />. Tra queste, particolare riguardo ha la dottrina dei tre ''[[guṇa]]''<ref>Qui intesi come costituenti dell'<nowiki></nowiki>''[[ahaṃkara]]'', l'ego empirico, piuttosto che "qualità" opposto a "sostanza" come riportato nei testi ''[[Nyāya]]''.</ref>. I ''[[guṇa]]'' costituiscono l'ego empirico che, trascinato da essi, trasmigra da corpo in corpo (mentre il ''puruṣa'' non è per niente coinvolto in questo processo anche se vi appare vincolato). I tre ''[[guṇa]]'' corrispondo al ''sattva'' (luce, lucidità, il più ricco della luce del ''puruṣa''<ref>Lett. è l'astrazione di ''sat'', l'essere, quindi la nozione di "essere".</ref>); al ''rajas'' (è l'elemento attivo, dominante nella condizione umana, la passione, l'energia,<ref>Lett. significa "polvere" intesa come che offusca la luce del ''sattva''.</ref>); e al ''tamas'' (tenebre, l'oscurità, l'ignoranza). Lo ''[[Yoga]]'' erediterà pressoché ''in toto'' le dottrine ''[[Sāṃkhya]]'', seppur con notevoli varianti, offrendo la "via" della liberazione del ''puruṣa'' dalla ''prakṛti'' attraverso un percorso indicato come ''Aṣṭānga'' ("otto membra" il cui nome potrebbe essere una risposta all'[[Ottuplice sentiero]] [[buddhismo|buddhista]]<ref name=autogenerato4 />). Il ''[[Rāja Yoga]]'' di [[Patañjali (filosofo)|Patañjali]], si differenzia tuttavia dal ''[[Sāṃkhya]]'' in quanto diversamente da quest'ultimo riconosce l'esistenza di Dio, l'"Essere supremo", indicato con il termine di [[Īśvara]] il quale però, se conserva il ruolo di centro della meditazione ''yogica'', non risulta un essere attivo nel percorso di liberazione del praticante.
 
==== Induismo devozionale e Induismo tantrico ====
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Moksha- tinkiseb wara li wiehed jehles mic-ciklu tar-reinkarnazzjoni, paci u armonija.
[[Kategorija:Induiżmu]]
{{Referenzi}}
 
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